Passeggiando a Milano in zona Monti, il quartiere che si stende intorno all’elegante e lunga via Vincenzo Monti, caratterizzata da palazzi tipici della abbiente borghesia ottocentesca, la nostra attenzione viene sicuramente attratta dai molteplici riferimenti culturali della metropoli meneghina, ma anche da una interessante e ricca proposta di eleganti negozi e atelier.
L’inaugurazione del primo atelier Joy-Jo non desterebbe quindi stupore alcuno, se la cosa non fosse avvenuta a giugno 2020, nel pieno della pandemia da COVID 19! Una scelta azzardata o una ottimistica scommessa sul futuro?
Mossi dalla curiosità lo abbiamo chiesto direttamente a chi in questa mirabile impresa si è imbarcato, Giovanna Canu.
Giovanna, cosa è e cosa rappresenta Joy-Jo?
Joy-Jo è il mio brand, nato nel 2008 a Barcellona, ma soprattutto rappresenta me, Giovanna Canu.
In che senso?
Vedi, Giovanna è sicuramente un architetto e un designer, ma soprattutto è una donna: curiosa, appassionata del proprio lavoro.
Sono nata a Sassari in Sardegna e a 18 anni sono “fuggita” da un’isola che, in quel momento mi stava stretta, per studiare architettura a Milano. Qui ho svolto la mia professione di architetto per 15 anni per una grande azienda multinazionale.
Ad un certo punto però, mi sono resa conto che ciò che facevo non sviluppava la mia parte creativa e ho deciso di cambiare vita.
Sono convinta che le coincidenze fortunate avvengono quando sei pronta a vederle e a coglierle. Io ero pronta: ho ripreso a studiare per 2 anni alla scuola orafa di Barcellona, ho seguito workshop e corsi fino all’incontro con la tecnica che mi ha affascinato e che pratico, la Textile jewellery.
Di che si tratta?
E’ una tecnica sperimentale che applica ai fili di metallo le tecniche di tessitura dei filati.
Non esiste una vera letteratura in materia, ma solo pura sperimentazione e conoscenza tecnica dei materiali, oltre naturalmente all’insostituibile insegnamento di ottimi maestri, nel mio caso Giovanni Corvaja e Jaime Diaz
Che caratteristiche specifiche ha un tuo gioiello realizzato con questa tecnica?
Cominciamo con il dire che si tratta di un gioiello di estrema leggerezza, pur non rinunciando ai volumi, di grande vestibilità, versatilità e, cosa che più conta, racconta una storia.
Una storia?
Certo, racconta una storia di scelte consapevoli, sin dalla scelta dei materiali.
I miei pezzi unici sono fatti, rigorosamente a mano, in filo di rame puro al 100%, una scelta di sostenibilità oltre che estetica .
Il rame è un materiale nobile che ha delle potenti virtù antinfiammatorie, usato in omeopatia e naturopatia.
Inoltre l’estrazione del rame, a differenza di quella di altri metalli come l’oro o l’argento, viene ottenuta con processi che salvaguardano le maestranze e l’ambiente.
Volevo un gioiello che fosse esteticamente bello, innovativo nel design, ma non estremo, insomma facilmente “indossabile”.
Volevo che ciascuno sentisse la propria unicità nell’unicità del gioiello scelto.
Sassari, Milano, Barcellona, quanto hanno influito 3 città così diverse sulla tua formazione professionale?
Le mie radici sono legate alla Sardegna e alle sue tradizioni.
E’ vero, ne sono “fuggita” per studiare, ma in questo momento della mia vita sento un fortissimo legame con la terra, la cultura e le tradizioni sarde.
E’ attraverso le salde radici sarde che ho avuto la forza di imparare a volare nel mio mondo.
Barcellona è la città che ha rappresentato per me la libertà, la rinascita, la piena consapevolezza e la riscoperta di me stessa, il mio primo atelier, un periodo di creatività spensierata e felice.
Milano è la mia amatissima città adottiva, una città che, in un particolare periodo della mia vita, ha preso tanto, ma con la quale mi sono riconciliata perché le riconosco una straordinaria capacità di rinnovarsi di offrire grandi opportunità, l’unica città nella quale voglio vivere oggi, proprio per questa capacità di fornire stimoli.
Perché la decisione in totale controtendenza di inaugurare un atelier fisico proprio in questo momento storico?
Io credo che le città per essere vivibili debbano necessariamente divenire più sostenibili sviluppando una rete di sostegno tra artigiani, una rete di negozi di vicinato e di quartiere, nei quali guardarsi negli occhi e scoprire l’anima che ogni artigiano artista, come me, mette nel proprio prodotto. Luoghi di sviluppo della cultura artigiana, di quel saper fare così legato alla nostra tradizione, ma nel rispetto dell’ambiente. In questa visione il punto fisico diviene lo specchio del prodotto. Così è per me.
Voglio poter raccontare ogni mio gioiello, la storia che lo accompagna, l’amore che lo ha generato. Guardare negli occhi la persona che lo sceglierà e lo farà proprio è un privilegio al quale non voglio rinunciare. Certo si tratta di una scelta coraggiosa.
Cosa vedi nel tuo futuro?
Più che una visione ho un sogno, un grande desiderio.
Mi piacerebbe vedere città piene di artigiani che abbiano bottega, che possano raccontare il proprio lavoro. Mi piacerebbe che aprissero, o si sviluppassero ulteriormente dove già presenti, le Scuole di artigianato Artistico, per divulgare quella cultura, quello spirito dell’artigianato artistico che, per fortuna, in Italia comincia a rifiorire.
grazie a Maria Mele per il contributo