Pierre et Gilles sono i protagonisti della mostra La Fabrique des idoles al Museo della Musica della Philharmonie di Parigi dove è possibile passeggiare nella stanzetta di un adolescente, in un tempio indù, in un club parigino in voga negli Anni Ottanta, passando per un’edicola votiva di un vicolo di Napoli, tra luci stroboscopiche, glitter, volti, colori e tanto, tanto kitsch.
Kitsch di un’assoluta qualità estetica. Un percorso scintillante e al tempo stesso malinconico, che si compone di 110 pitture-fotografie, 25 copertine di dischi, 200 oggetti memorabilia, 6 videoclip e circa 140 brani musicali in libero ascolto attraverso le audioguide.

Pierre et Gilles, due anime gemelle che si sono trovate nel 1976 “in una festa”, come amano raccontare, nel corso di questi quarant’anni hanno saputo proporre un’arte ibrida, tra pittura e fotografia, tra realtà e meraviglia, tra sogno e incubo, in cui il ritratto occupa un posto centrale. Persone sconosciute, star planetarie, gruppi underground e cantanti vari si sono prestati a essere “reinterpretati” in maniera dissacrante (a volte blasfema), fantasiosa, colorata o piuttosto dark, nella costruzione di quello che loro stessi definiscono essere “un pantheon iconoclasta e sentimentale”.

Tra gli artisti che negli anni hanno posato per il duo, ad esempio, Madonna, Marylin Manson, Boy George, Stromae, Kylie Minogue, Dita Von Teese e Michael Jackson. Ogni modello è stato chiamato a posare all’interno di complesse scenografie montate in studio. Le fotografie sono poi state sottoposte a un lungo ed elaborato processo pittorico, terminato con la realizzazione della cornice del quadro.

L’esposizione è anche un pretesto per raccontare una storia, anzi più storie, esplorando il rapporto che Pierre et Gilles hanno avuto con la musica e tutto l’universo che le ruota intorno. Gli artisti hanno concepito una playlist che accompagna ogni ritratto, per suggere al visitatore i ricordi e le emozioni legati alla sua creazione. Il pubblico è invitato a godere e a trarre energia da quest’universo fantastico, ma anche a calarsi nell’atmosfera creatrice di quello che può essere un idolo al tempo della nostra contemporaneità.

La quarta sezione del percorso espositivo è interamente occupata dal cosiddetto “altare della musica”, qualcosa che somiglia moltissimo a un’edicola votiva dedicata alla Madonna, ai vari santi, ma anche a Maradona, con altari che si vedono spessissimo nei vicoli popolari di Napoli. Tra sacro e profano. Al centro dell’installazione vi è un piccolo schermo attraverso il quale sono proiettati i video musicali realizzati dai due artisti negli Anni Ottanta. Un trionfo di quel “politicamente scorretto” che solo quel decennio ha saputo regalare, senza bisogno di mezze misure.

La Fabbrica degli idoli è un concentrato di eccesso, o di eccessi, di lustrini e di paillettes, ma è soprattutto un’occasione per riflettere sul modo in cui l’essere umano, in qualsiasi epoca e luogo, è solito rappresentare qualcosa di considerato come sacro, o anche profano, purché percepito come unico e speciale. Un’opportunità di analisi della psicologia umana e della maniera di figurare e immaginare l’eccezionale