Viviamo in un mondo fantasmico con il quale entriamo gradatamente in dimestichezza (G. de Chirico, 1918)
Sono trascorsi quasi cinquant’anni dalla personale del 1970 e finalmente Milano torna ad ospitare l’opera di de Chirico in una straordinaria retrospettiva. Un percorso espositivo fatto di confronti inediti e accostamenti irripetibili che svelano il fantasmico mondo di una delle più complesse figure artistiche del XX secolo.

La mostra offre la chiave d’accesso a una pittura ermetica che affonda le sue radici nella Grecia dell’infanzia, matura nella Parigi delle avanguardie, dà vita alla Metafisica che strega i surrealisti e conquista Andy Warhol e, infine, getta scompiglio con le sue irriverenti quanto ironiche rivisitazioni del Barocco.
Attraverso la preziosa collaborazione con prestigiosi musei internazionali – tra cui la Tate Modern di Londra, il Metropolitan Museum di New York, il Centre Pompidou e il Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris di Parigi – e nazionali – la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia – oltre a importanti istituti milanesi – quali il Museo del Novecento, la Casa Museo Boschi Di Stefano, la Pinacoteca di Brera e Villa Necchi Campiglio – è stato possibile ricostruire una retrospettiva ampia e completa di uno degli artisti che con la sua opera e con la rivoluzione del linguaggio figurativo da lui attuata, ha attraversato il secolo scorso lasciando un profondo segno nell’immaginario italiano e internazionale del Novecento.


La mostra è quasi un dialogo, un canale comunicativo tra l’artista e il suo pubblico, che mette in scena un linguaggio sofisticato, fatto di ombre, enigmi e fascinazione ma talmente dirompente e lucido da eliminare qualsiasi barriera alla fruizione dell’opera. I dipinti esposti non seguono lo sterile ordine cronologico ma si accostano l’uno all’altro secondo un figurativo flusso di coscienza, che racconta la Stimmung dell’artista attraverso la sua genesi familiare, la sua rivelazione metafisica e il suo inesauribile esercizio di indagine filosofica basato sul dialogo, da cui prendono forma i suoi spiriti, le sue piazze visionarie, i suoi gladiatori e i suoi endocentrici manichini. La raffinata sequenza di opere non lascia indietro il periodo barocco del maestro, solitamente oscurato dalla critica, in cui il lirismo poetico si fonde alla tecnica evocata dalle grasse pennellate piene di materi pittorica. Muse, argonauti, archeologi, manichini, filosofi, figliol prodighi, gladiatori, cavalli… tornano a prendere vita e accompagnano il visitatore sala per sala, invitandolo a guardare con nuovi “strumenti” e nuovi “occhi” la pittura di de Chirico, a scendere anche nei dettagli, confermando la vitalità e l’invenzione della sua arte che ha influenzato la cultura visiva del XX secolo e il cui immaginario è oggi più che mai attuale.

Sono otto le sale attraverso le quali si articola la personale, proponendo temi differenti che vanno dalla vicenda biografica di de Chirico al suo costante errare che diventerà uno dei temi principali della sua poetica. La condizione di sradicamento gli permette infatti di tenere insieme tutte le differenti provenienze e di collegare l’intera civiltà mediterranea, colta e letteraria, le sue radici italiane ed elleniche con la cultura tedesca di fine Ottocento. Il periodo parigino del primo decennio del Novecento, la vicinanza ai movimenti artistici cubisti e insieme la non appartenenza alle correnti dell’epoca fanno emergere una propria forma di avanguardia che è proprio la Neometafisica. Sono questi gli anni in cui fa la sua comparsa uno dei temi più originali dell’opera di de Chirico, quel manichino che talvolta ha le sembianze di un astronomo. La mostra chiude con una sala dedicata alla neometafisica, con un processo di produzione di repliche – che aveva già avuto inizio negli anni venti – e che si rivela in tutta la sua forza concettuale.[:]